martedì 21 febbraio 2012

1°Capitolo: MORTE

CAPITOLO
MORTE


   «Io vado via Ralf» dissi con un senso di liberazione, quella sera ero molto stanca, una serata proprio pesante. Lui mi rispose con il suo solito tono dolce «Ok bellezza, sicura di essere in grado di guidare? Non mi sembri molto in forma...». Effettivamente mi sentivo uno straccio, ma non volevo darlo troppo a vedere «Non preoccuparti Ralf sto bene, non devi essere sempre cosi premuroso con me, sai bene che so cavarmela benissimo anche da sola.». Ralf decise di arrendersi, sapeva che ero una tipa ostinata «Non ne ho dubbi dolcezza, allora buonanotte a domani.». Lo salutai quindi con un sorriso sulle labbra «Notte Ralf!». In quel momento tutto avrei potuto immaginare, tranne che non lo avrei mai più rivisto.
   Ralf era proprio un bravo ragazzo si preoccupava sempre per me, anche se io non ero il tipo che amava avere avvocati difensori. Meglio sbrigarmi a tornare a casa, pensai guardando l'orologio, si stava facendo sempre più tardi. Mi avviai verso il parcheggio, ormai a quest'ora la mia macchina era una delle poche rimaste, oltre a quella di Ralf poco distante. La trovai al solito posto dove nel tardo pomeriggio l'avevo parcheggiata. Con il lavoro che mi ritrovavo non potevo permettermi chi sa quale auto, per cui mi ero dovuta accontentare di questo catorcio. L'importante che non mi lasci in mezzo a una strada e con la fortuna che mi ritrovavo la cosa non sarebbe stata poi cosi improbabile.
   «Miki ci vediamo domani, buonanotte.» a salutarmi era stata una delle mie colleghe di lavoro, pensavo fosse già andata via e invece mi aveva colta di sorpresa. Risposi educatamente «Ciao Anna non ti avevo visto, scusami stanotte sono proprio fuori, ma non preoccuparti una bella dormita e tutto passa, a domani.» la salutai cercando di non dilungarmi troppo, prima tornavo a casa e meglio era. «Ok tesoro ma mi raccomando ti voglio viva e vegeta domani.» Non sapeva quanto fosse premonitrice quella frase.
   Feci per aprire la borsa, cercando affannosamente le chiavi, con tutto questo disordine era sempre difficile trovare qualcosa in tempi brevi. Eccole scovate dal loro nascondiglio, le allungai verso la serratura della macchina, ma sbagliai a mirare. Stanotte era proprio difficile far centro a primo colpo, come la maggior parte degli uomini. Risi da sola alla mia battuta, nel silenzio della notte. Dopo vari tentativi riuscii ad aprire l'auto. Mi misi maldestramente seduta al volante, guardandomi allo specchietto sistemai un attimo la mia acconciatura, tante ore passate davanti al phon e guardate ora che risultati. Meglio lasciar stare, tanto chi deve vedermi ormai a quest'ora.
   Ora potevo dirigermi verso casa. Erano da poco passate le cinque del mattino, e come ogni sabato mi trovavo di ritorno dal pub, in cui cercavo di sopravvivere facendo la cameriera. A volte era difficile tenere a bada le avance dei clienti ed essere sempre sorridenti con tutti, ma cercavo di fare del mio meglio, infondo non avevo molte altre alternative. Di solito mi sforzavo di non pensare a niente, odiavo le preoccupazioni sterili che ti consumavano il cervello. Stasera per giunta avevo anche bevuto qualche bicchierino, non che lo facessi spesso.
   Forse sarebbe stato meglio se avessi chiesto a Ralf il barista, mio collega di lavoro, di riaccompagnarmi a casa. Non era stata una grande idea quella di mettermi al volante in queste condizioni. Ancora non mi sono presentata, scusate la maleducazione, mi chiamo Mikaela e quella che mi presto a raccontare fu la storia di come in una notte tutta la mia vita cambiò in un istante.
   Il mio nome era l'unica cosa che mi rimanesse di mia madre, oltre a una coroncina del rosario che tenevo conservata in casa malgrado non fossi religiosa. Infatti lei mi abbandonò circa un anno dopo avermi messa al mondo sull'uscio di un orfanotrofio gestito da un gruppo di suore cristiane. I primi anni della mia vita non furono poi cosi male, le suore erano come una famiglia per me, anche se non ne avevo mai conosciuta una vera di famiglia. Ma i problemi iniziarono quando l'orfanotrofio fu costretto a chiudere per mancanza di fondi e io fui obbligata ad abbandonare l'unico luogo che potessi chiamare veramente casa. In seguito iniziò il mio calvario con gli istituti. Non ero considerata la classica bambina carina e docile da adottare anzi ero molto ribelle e non mi piaceva stare sotto a regole che non comprendevo.
   Per fortuna compiuti i 18 anni fui libera di vivere la mia vita come mi pareva.
Ma senza dei genitori che ti pongono dei freni, tipo a che ora ritornare la sera o non fare questo non fare quello, era difficile porsi da soli dei limiti. Di rimanda avevo quindi sempre vissuto in modo molto scapestrato, in giro per strada di città in città. Ultimamente avevo trovato questo lavoro al pub come cameriera, non era la mia aspirazione più alta nella vita, non mi sarebbe dispiaciuto studiare e laurearmi, ma dovevo pur campare. La paga non era male potevo permettermi un affitto in una bettola di casa. Casa mia non era distante molto dal club, erano solo poche miglia. Le luci della strada si fecero sempre più fioche, e un alone di sonnolenza cominciò ad aleggiare su di me. All'improvviso venni sopraffatta dalla visione di una grossa luce puntata dritto verso la mia faccia, o cavolo una macchina mi stava venendo contro, o ero io ad andare contro di essa?
   Pochi attimi e mi ritrovai incastrata tra le lamiere della mia macchina, quel catorcio che avevo preso in giro poco tempo prima, cercai di guardarmi attorno ma la mia vista era annebbiata, riuscì solo a percepire qualcosa che mi bagnava i vestiti. Provai a concentrarmi per rendermi conto di cosa fosse... sangue tanto sangue... mi ritrovavo in una pozza di sangue...


   Nessuno pensa alla propria morte se non nell'attimo in cui vede passarsela davanti agli occhi. O almeno la maggior parte della gente cerca di evitare questo argomento, come se non gli possa accadere nulla di male nella vita. Anch'io non mi distaccavo molto da quest'ottica. Ai miei occhi ero quasi immortale. Certo non andavo a camminare in mezzo ai binari della ferrovia sfidando la sorte, ma allo stesso tempo non mi facevo mancare niente di emozionante o adrenalinico.
   In quell'istante in cui la macchina mi venne incontro pensai a tutta la mia vita passata. A quante cavolate ero riuscita a combinare per giunta in un lasso di tempo cosi breve. Dopotutto avevo solamente 25 anni. Li avevo compiuti da poco. Non era il mio giorno preferito dell'anno, nessuno a farti un regalo, nessuno a farti gli auguri, non era certo il massimo. Per giunta la mia data di nascita era stata calcolata in modo approssimativo da un dottore, non ero neanche sicura di essere nata quel giorno.
   Ma non ero il tipo che badava molto a questo genere di cose, ero dell'idea che tutto mi potesse scivolare sopra come acqua, la mia filosofia di vita era “fottersene allegramente!” Ma in questo lasso di tempo in cui mi ritrovavo intrappolata nella mia stessa auto, con la vita che sentivo scorrermi via troppo velocemente, capii di non aver ancora combinato nulla di buono nella mia vita, niente di concreto, nessuno che mi potesse ricordare per qualcosa fatto.
   Ero invisibile, il mondo sarebbe continuato ad andare avanti come sempre importandosi ben poco della mia morte... Forse Ralf o il mio datore di lavoro, o la mia vicina di casa, avrebbero speso qualche lacrima per me, ma il giorno dopo la notizia della mia morte sarei sparita dalla loro mente... Penserete beh te la sei cercata e non lo nego, ma una seconda chance non si nega a nessuno..
   L'ambulanza arrivò quasi subito, l'uomo al volante dell'altra auto coinvolta nell'incidente per fortuna sembrava non si fosse fatto niente, sicuramente era qualche bravo padre di famiglia appena alzatosi e messo al volante per andare a lavorare come ogni mattina. Ero ancora in parte cosciente, riuscivo a capire che si trovavano qua per me, in due mi presero cercando di estrarmi il più delicatamente possibile dal groviglio di lamiere intrecciate e mi adagiarono sulla barella.
   Sentii una voce dire «Ancora respira, ma il suo battito è lento. Sembra semi-cosciente, dobbiamo portarla il più velocemente possibile all'ospedale, ogni attimo è prezioso...». Subito dopo la stessa voce cercò di rassicurarmi «Signorina non si preoccupi andrà tutto bene vedrà. Se può sentirmi stringa la mia mano...»
   Cercai con tutte le mie forze di stringere la sua mano, ma l'uomo davanti a me sembrava non accorgersi dei miei sforzi, eppure ce la stavo mettendo tutta. «Non fa niente signorina, non si sforzi troppo, andrà tutto bene.»
   Il tragitto dal luogo dell'incidente all'Ospedale non fu molto, eppure sembrava stesse passando un'eternità. Raramente ero stata all'ospedale, tranne quella volta in quinta elementare in cui avevo fatto a botte con un mio compagno di classe. Mi ero rimediata un paio di punti e una bella cicatrice, la sua colpa quella di aver preso in giro mia madre. Non la conoscevo ma sapevo, o mi illudevo, fosse una brava persona, anche se non riuscivo a perdonarla per quello che mi aveva fatto.
   L'ambulanza arrivò di tutta fretta a sirene spiegate, la mia barella venne fatta correre velocemente lungo quei corridori. Tentai di alzare un po' la testa per vedere cosa mi stava intorno, ma riuscì a malapena a distinguere tre infermieri accanto a me. La mia vista si faceva sempre più appannata e facevo parecchia fatica a tenere gli occhi aperti.
   «Non tenti di alzarsi, è stata vittima di un incidente con la sua auto. Ha riportato lesioni molto gravi e ha perso tanto sangue. E' già un miracolo che sia ancora viva, ringrazi il cielo, ma non si sforzi più del dovuto.»
   “Ringrazi il cielo”, queste parole continuarono a risuonarmi nella mente. Non ero mai stata una persona credente, tanto meno religiosa o praticante. Non sapevo se dopo la morte esisteva veramente qualcosa certo in quegli attimi ci speravo con tutta me stessa. All'improvviso venni sollevata dalla barella e posta su di un letto. Quello che credevo fosse un medico si avvicinò a me, mentre gli infermieri iniziarono a spogliarmi e a mettermi una flebo. Il medico aprì a forza le mie palpebre, sempre più stanche e vi avvicinò una luce accecante, per istinto strinsi forte gli occhi.
   «I riflessi ancora ci sono, forse è anche cosciente.» disse il medico come se io non fossi stata li presente. Avrei proprio voglia di una bella dormita in questo momento, ma qualcosa mi diceva che dovevo resistere, dovevo sforzarmi di rimanere sveglia, altrimenti sarebbe stata la fine. Eppure quella fine tanto temuta, non sembrava cosi male ora che il mio corpo era pieno di dolori. «Signorina mi sente? E' cosciente? Dobbiamo operarla immediatamente per fermare l'emorragia interna. Ha qualche parente qui in città che possiamo contattare?» «Nes....» Nessuno, ma non riuscì a completare la parola.

   Mi portarono in sala operatoria e iniziarono a prepararmi all'intervento. Dovete sbrigarvi non resisterò ancora per molto. Datevi una mossa cavolo, cercai di urlare a infermieri e dottori che mi stavano davanti, ma riuscì solamente a muovere le labbra senza che nessun suono fosse fuoriuscito da esse. Era tutto inutile, per un attimo mi lasciai andare allo sconforto, dopotutto forse era veramente giunta la mia ora. Le lacrime scesero giù come fiumi dalle mie pupilla. In un attimo mi sentii liberata da ogni dolore, da ogni fatica. Mi vedevo sdraiata su quel letto in quella sala operatoria, ma osservavo me stessa come se fossi stata un'altra persona. Mi ritrovai fluttuante sul soffitto e riuscii a vedere i dottori preoccupati delle mie condizioni, due si fecero un cenno forse dicendo qualcosa che non compresi. Era proprio come raccontavano in quei stupidi programmi alla TV pensai, era proprio assurda quella sensazione.
   «La pressione sta scendendo, valori vitali in calo.» l'infermiera sembrava veramente preoccupata, cosi come tutti gli altri medici li presenti. «La stiamo perdendo dobbiamo sbrigarci, ha perso molto sangue fategli un'altra flebo, mentre io inizio ad operare.»
   «Dottore la paziente è in arresto cardiaco. »
   «Datemi il defibrillatore cerchiamo di rianimarla.»
   «Eccolo dottore»
   «Uno, due, tre...»
   «Niente, proviamo ancora, uno, due, tre...»

di Angela Visalli 

6 commenti:

  1. Hai un bel ritmo, ma sappiamo dagli acceni che hai premesso che durante la serata Miky perderà la vita o quasi.
    Allora prima di tutto, nella prima cosa deve fare anusare al lettore che su Miky sta incombendo il destino. Allora il tuo attacco potrebbe essere (ho pescato sempre da roba tua):
    Nessuno pensa alla propria morte se non nell'attimo in cui vede passarsela davanti agli occhi. O almeno la maggior parte della gente cerca di evitare questo argomento, come se non gli possa accadere nulla di male nella vita. Anch'io non mi distaccavo molto da quest'ottica quella sera. Ero molto stanca, una serata proprio pesante. «Io vado via Ralf»
    «Ok bellezza, sicura di essere in grado di guidare? Non mi sembri molto in forma...».
    «Non preoccuparti, so cavarmela.Notte Ralf!». In quel momento tutto avrei potuto immaginare, tranne che non lo avrei mai più rivisto.

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  2. Grazie per i consigli mi fa piacere che tu l'abbia letto, vedrò di rivederlo appena ho un po' di tempo. Sono sempre combattuta sul rivelare o no la trama futura, per coinvolgere maggiormente il lettore che cosi si aspetta già che succeda qualcosa. Ma non so se faccio bene o male.

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  3. Non c'è bisogno di rivelare, di fare annusare sì :-)

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  4. Sto cambiando in parte il testo, per chi volesse leggerlo e darmi dei suggerimenti posso mandarglielo per email :)Vorrei scrivere qualcosa di decente ma è dura xD

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  5. Non è così dura, credimi. La tua narrazione scorre, è un buon lavoro, ovviamente a parer mio. forse deve solo essere un pò "setacciata", i primissimi scritti di un autore portano nelle corde spesso due caratteristiche: una non troppo velata attenzione sull'autore stesso e (elemento a parer mio importante) il desiderio inespresso o esplicito di spiegare al lettore cosa sta succedendo. Ogni scrittore ha un proprio stile, che spesso coincide con la propria peculiarità di sentire la vita, tutto sta a scoprirlo tra il mare di parole che "viene" di buttare sul foglio. Scrittori grandissimi hanno parlato di se stessi, a modo loro, nessun problema, io ho scoperto in me stesso il desiderio di dare attenzione ai personaggi, tento di "passare" delle emozioni, non di spiegarle. In sostanza...nessun consiglio, o forse...solo uno: "non porti il problema di spiegare troppo (intendo nella narrazione), la storia deve uscire da sé". Un esempio banale: il protagonista di fronte a una città in decadenza, racconta al lettore come si sente oppure descrive ciò che vede, ma in modo da trasmettere ciò che prova. Ma è solo un mio pensiero....non un vero e proprio consiglio.
    Ciò che ho letto mi è piaciuto. Ciao e buon proseguimento. Lucio Figini.

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    1. Grazie per avere anche solo letto queste mie poche righe, mi rende felice, mi accorgo solamente ora del commento pur essendo passati diversi giorni e me ne scuso. Preciso che non mi sento un'autrice (sono una lettrice che si è cimentata un po' con la scrittura e questo è uno dei miei esperimenti), il testo qui presente l'avrò cambiato un centinaio di volte (no nel post sul blog ma proprio nel file del mio pc) ho una settantina di pagine mai finite :) Quando scrivo penso più alla forma che voglio dare alle frasi che alla sostanza, e quando non riesco a raggiungere la forma che ritengo quanto meno decente lascio perdere il tutto. Prima o poi mi ci devo mettere di impegno quanto meno per concludere qualcosa :)

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